La ceramica ha le sue tradizioni e la sua tecnologia che ho fatto mie fin da subito perchè accessibili; richiede
un sapere e un modo di apprendere fisico, tattile. Faccio ceramica pur conoscendo le altre forme d'arte, ma mi sento
profondamente ceramista.
Lavoro la terra per la sua modestia che la associa alle forme d'arte più popolari. Non sono mai stata fanatica delle
grandi manifatture create per principi o nobili. Le ceramiche che ho più guardato e ammirato sono la ceramica
giapponese, quella africana, messicana, indiana.
Dove c'è una sorta di disinvoltura, lì trovo quello che mi attira.
Sembra trattato senza metodo. Ma quando ti avvicini e guardi con attenzione, o che prendi il pezzo tra le mani e
che lo esamini, puoi percepire la precisione, la mano dell'uomo che lo ha realizzato, il bello, ben lavorato.
Le terre che uso sono diverse. La mia ricerca è "materica". Amo il contrasto: il prezioso ed il grezzo, lo smalto
con il pigmento, il lucido con l'opaco. Questo ha a che vedere con la mia vita: la grande città, Parigi, dove sono nata e La Rocca, piccolo borgo toscano di contadini, dove sono cresciuta.
Questa fisicità, l'amore per gli elementi, l'impronta vitale che si lascia sulla zolla di terra dopo il temporale, è ciò che ho ereditato per
fare questo lavoro. Percepisco l'argilla come energia primordiale, dominatrice dei miei sentimenti più profondi,
maschile e femminile allo stesso tempo. Morbida e sensuale cruda, dura ed eterna cotta.